Province o tutte o nessuna

Written by Mario Bertolissi on Wednesday, 25 July 2012.

Province o tutte o nessuna

Per quanto possa apparire banale, è opportuno non dimenticarsi che la fretta è cattiva consigliera.
Il decreto-legge n. 95/2012 attende di essere convertito dalle Camere a giorni e ancora si sta discutendo - non al bar, ma in Parlamento - dell’allungamento dei termini per gli accorpamenti, del ruolo delle Regioni nel processo di semplificazione dei livelli di governo locale ed anche dell’ampliamento delle funzioni.

Ma come - c’è da chiedersi - non c’è chiarezza neppure sulle funzioni, che identificano il ruolo dell’ente di area vasta, una volta modificato? 
Il fatto è che la decisione di riformare il sistema, pur indotta da esigenze di carattere economico-finanziario, avrebbe dovuto avere quale presupposto una “visione del mondo”.
Un piccolo-grande progetto, al cui interno si sarebbe dovuta collocare pure una serie ulteriore di valori, che non nomino neppure, ed anche interessi, veicolo di un auspicato successo o di un temuto insuccesso. 

Perché, tutti i conti quadrano alla fine e l’economia ha a che fare, molto, con la psicologia. Dunque, a mio sommesso avviso, si sarebbe dovuta percorrere la via maestra della riforma costituzionale e sopprimere le Province.
Tutte, indistintamente. O no, se fosse prevalsa l’opinione contraria.

Il Governo ha fissato due requisiti: per sopravvivere, mutata nei suoi connotati, la nuova Provincia deve estendersi per non meno di 2.500 Kmq. e avere una popolazione di almeno 350 mila abitanti. Si tratta - è ovvio - di elementi che non hanno nulla di razionale perché seguono il metodo di Procuste: l’egualitarismo, figlio di formalità astratte.
Qui non c’è alcuna considerazione della storia, della cultura, della geografia, dell’economia, delle tradizioni. Ci sono numeri che sono del tutto estranei al buon o al cattivo funzionamento, metro di per sé ostentato dai riformatori di ieri e di oggi. Per cui riemerge l’alternativa o tutte o nessuna. Oppure, una grande, organica riforma dell’amministrazione regionale e locale. Ma - si obietta - non c’è tempo. E sia! Allora, chi può è bene rimedi. La Regione Friuli-Venezia Giulia è titolare di ampi poteri.
Sulla carta, vale a dire Statuto speciale di autonomia alla mano, essa dispone di una potestà legislativa di carattere primario, riguardante “l’ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni” (art. 1, n. 1-bis).
Mentre la medesima fonte afferma che “le Province e i Comuni sono enti autonomi ed hanno ordinamenti e funzioni stabilite dalle leggi dello Stato e della Regione” (art. 59, 1° comma). Nella lettura datane dalla Corte costituzionale, ciò significa che la Regione può adottare una legislazione che “non è vincolata all’osservanza delle singole disposizioni del testo unico degli enti locali, ma deve rispettare il principio autonomistico o - meglio ancora - tramite le sue autonome determinazioni deve ‘favorire la piena realizzazione dell’autonomia degli enti locali’” (sentenza n. 238/2007).
È appena il caso di osservare che lo Stato, nell’impugnare la legge regionale del Friuli-Venezia Giulia n. 1/2006, aveva censurato la Regione per non aver riconosciuto in capo alle Province “funzioni proprie”: illegittimamente - cosa ci tocca leggere! - dal momento che “le funzioni delle Province sarebbero funzioni non comprimibili dal legislatore (nazionale o regionale), in quanto da sempre ritenute necessarie per l’esistenza ed il corretto sviluppo delle rispettive comunità territoriali e degli interessi di cui sono esponenziali”.

Il Friuli-Venezia Giulia è, da sempre, binario. Appunto, Friuli e Venezia Giulia.
I due ambiti, naturalmente distinti, si articolano al loro interno in due Province: Udine e Pordenone, Gorizia e Trieste. Chi conosce questi territori sa che lo “status quo” rappresenta l’epilogo di percorsi politici e istituzionali complessi, dei quali si è occupata pure l’Assemblea costituente. Per uscirne, serve un criterio, che a mio modo di vedere risiede nelle ragioni attuali della specialità regionale. Essa consiste nel fatto che il Friuli-Venezia Giulia è una Regione-porta tra l’Ovest e l’Est d’Europa, alla quale “presta” il suo territorio. La Regione può modellarsi al suo interno ripensando la distribuzione delle funzioni e delle risorse, avendo in mente questo obiettivo, che non è soltanto suo, ma dell’intero Paese. Di pari passo, due iniziative: un intervento legislativo proprio, ancorché in contrasto con la normativa statale; una azione di persuasione nei confronti di un Governo e di un Parlamento che non conoscono la logica del dialogo e del confronto.
Aggiungo una piccola osservazione finale. Dal centro può calare soltanto una scure. Nessuno sa nulla. È burocrate e basta. Così, se invece di trastullarsi con un sedicente federalismo fiscale, si fosse data una seria autonomia impositiva agli enti locali, la decisione vera sul da farsi l’avrebbero presa i pordenonesi, gli udinesi, i goriziani e i triestini.
A patto di pagarsi l’incomodo, vale a dire i costi di funzionamento della Provincia, realisticamente determinati.  

Messaggero Veneto, 25 luglio 2012

About the Author

Mario Bertolissi

Mario Bertolissi

Professore di Diritto Costituzionale all'Università di Padova, svolge la professione di avvocato dal 1978.
Allievo di Livio Paladin, è stato componente del Consiglio Superiore delle Finanze e della Commissione Statuto del Consiglio Regionale del Veneto.
Fondatore del Centro Studi sulle Istituzioni, è stato tra il 2003 ed il 2006 Presidente dell'Editoriale Il Gazzettino.
Attualmente è Vicepresidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, Vicepresidente dell’Associazione "Amici di Giorgio Lago", componente della Commissione Paritetica per le norme di attuazione dello Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia.
Dal 2010 è vicepresidente del Consiglio di Sorveglianza della banca Intesa Sanpaolo.

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