Federalismo fiscale al fallimento

Written by Mario Bertolissi on Thursday, 26 July 2012.

Federalismo fiscale al fallimento

Effettivamente, sì! Leggere che la Catalogna è alla canna del gas fa impressione. Giustamente, si è ricordato che è stata additata come un modello di federalismo fiscale attuato. Ma chi ha seguito le vicende dell’autonomismo spagnolo sa bene che, al di là e a prescindere dalle declamazioni, le Comunità autonome hanno innanzi tutto speso, dimenticandosi della contabilità. Hanno speso oltre il dovuto ed ora sono al fallimento. C’è da dire, per completezza, che sull’orlo del fallimento si trovano pure gli Stati, i quali non hanno saputo o voluto applicare un principio di economia domestica ispirato all’equilibro tra entrate e spese.

Questo principio in Italia é sancito dalla legge costituzionale n. 1/2012. Del resto, questo era l’intendimento, chiarissimo, di Luigi Einaudi ed Ezio Vanoni, che avrebbero voluto, oltretutto, innervata una salda ramificazione di livelli autonomi di governo. Responsabili, però, non irresponsabili. A questo, semplicemente a questo doveva servire il cosiddetto federalismo fiscale. Ogni Paese lo declina a modo suo, ma deve comunque rimanere impregiudicato l’unico, vero principio-base: agli enti territoriali substatali - Regioni, Province, Comuni e Città metropolitane - deve essere attribuita una leva fiscale vera e di consistenza tale da consentire a ciascun ente di realizzare, annualmente, uno sforzo fiscale autonomo, a fronte di decisioni di spesa discrezionali. Non obbligatorie, perché allora non è davvero il caso di parlare di autonomia.

L’ente - per dirla con il lessico della contabilità pubblica - è ridotto a un puro e semplice ordinatore secondario di spesa. Basta un’espressione di tal genere per dare l’idea - plastica - della mancanza di ossigeno e, quindi, di vita che connota un sistema politico-istituzionale così caratterizzato. In nome di una tradizione consolidata, di abitudini comportamentali e di prassi, che rappresentano il risvolto, necessitato e negativo, di un blocco inossidabile di concetti. D’altra parte, che cosa, se non questo, ha indotto la Corte costituzionale a ritenere perfettamente legittimo che lo Stato fissi, inderogabilmente, quale deve essere il numero dei consiglieri e degli assessori regionali, parametrato sulla popolazione? Infatti, “tutti i cittadini hanno il diritto di essere egualmente rappresentati” - afferma il Giudice delle leggi nella recentissima sentenza n. 198/2012, che ha visto parte del giudizio anche la Regione Veneto -, in nome di un’eguaglianza che si fa egualitarismo e, paradossalmente, preclude alle collettività di scegliere il “numero” per se stesse “adeguato” di rappresentanti. Qui le differenze non si sa che cosa siano. Il pluralismo è disperso all’interno di concezioni della vita istituzionale e dell’esperienza in comune che fanno rabbrividire. La politica - in nome della quale la Corte parla - è dialettica, confronto, scelta motivata e distinta, a seconda della sensibilità dei territori. Ma la cultura giuridica nostrana è giacobina, generatrice come tale di uniformità che danno luogo all’irresponsabilità più estrema e spregiudicata. Perché, in nome di massime di questo genere, è evidente che accadrà quel che accade ed è accaduto: c’è chi risparmia e chi spende, senza che si registrino differenze di sorta. Indipendentemente da chi governa (bene o male) tutti i cittadini hanno eguali diritti… Sicilia docet! La Sicilia insegna!

Proprio quest’ultimo episodio, ultimo di tanti - la stampa si è occupata, qualche giorno fa, del deficit sanitario del Lazio e della Campania-, dimostra che ogni ente deve essere reso responsabile. Lo diverrà se dovrà finanziarsi rivolgendosi agli elettori, se potrà perseguire una politica in una qualche misura autonoma, se sarà costretto a rendere il conto. In un Paese serio, chi non ha i conti in regola fallisce. Commissariati debbono essere l’ente stesso e il corpo elettorale che ha scelto male e ha ceduto, per trenta denari, il proprio consenso. Il federalismo, anche fiscale, è una prassi di libertà e di responsabilità, che mal si concilia con chi è abituato a ragionare, sempre e soltanto, nell’ottica della convenienza. Per questo semplice motivo, il federalismo fiscale è ben altro. È altro, rispetto all’esperienza istituzionale finora consumata, malamente, dalla Repubblica.

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Mario Bertolissi

Mario Bertolissi

Professore di Diritto Costituzionale all'Università di Padova, svolge la professione di avvocato dal 1978.
Allievo di Livio Paladin, è stato componente del Consiglio Superiore delle Finanze e della Commissione Statuto del Consiglio Regionale del Veneto.
Fondatore del Centro Studi sulle Istituzioni, è stato tra il 2003 ed il 2006 Presidente dell'Editoriale Il Gazzettino.
Attualmente è Vicepresidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, Vicepresidente dell’Associazione "Amici di Giorgio Lago", componente della Commissione Paritetica per le norme di attuazione dello Statuto della Regione Friuli-Venezia Giulia.
Dal 2010 è vicepresidente del Consiglio di Sorveglianza della banca Intesa Sanpaolo.

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